venerdì 16 aprile 2021

 Sia ben chiaro che non penso alla casetta

due locali più i servizi, tante rate, pochi vizi,
che verrà quando verrà...
penso invece a questo nostro pomeriggio di domenica,
di famiglie cadenti come foglie...
di figlie senza voglie, di voglie senza sbagli;
di millecento ferme sulla via con i vetri appannati
di bugie e di fiati, lungo i fossati della periferia...
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all'amore?
Non ho detto "andiamo a passeggiare"
e neppure "a scambiarci qualche bacio...
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all'amore?
Dico proprio quella cosa che sai,
e che a te piace, credo, quanto a me!"
Vanno a coppie, i nostri simili, quest'oggi
per le scale, nell'odore di penosio alberghi a ore...
anche ciò si chiama "amore";
certo, è amore quella fretta tutta fibbie, lacci e brividi
nella nebbia gelata, sull'erbetta;
un occhio alla lambretta, l'orecchi a quei rintocchi
che suonano dal borgo la novena; e una radio lontana
dà alle nostre due vite i risultati delle ultime partite...
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all'amore?
Non ho detto "andiamo a passeggiare"
e neppure "a scambiarci qualche bacio...
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all'amore?
Dico proprio quella cosa che sai,
e che a te piace, credo, quanto a me!"
Era questa la madre che volevo,
scura e malinconica
lontana dal mondo
ansiosa.
Parla poco e si mangia le parole.
Cade qualche volta e si rialza in fretta.
Era questa la madre che volevo,
scura dolorosa
zoppa
e ho lottato contro le sorelle
ho distrutto i fratelli
perché era questa la madre che volevo,
volenterosa ampia chiusa prigioniera.
Non volevo altra madre che questa,
capelli mai cresciuti che non trovano
forma né pace, la copia trasandata
di se stessa, sfatta di dolcezza,
l'unico lusso era la sua fuga
davanti allo specchio
mentre si vestiva.
Davanti allo specchio mentre si vestiva
lo sguardo le si divaricava
perduto in un'immagine futura,
la prima ladra in lei riconoscevo
che mi rubava l'immagine sicura
e la portava fuori e regalava
quello che solo mio essere doveva. 

 e dimmi dove

amore

e dimmi quando

non mi lasciare

così appeso

ad aspettarti

nella cumana

a montesanto

domenica 19 luglio 2020

e invero, piccoli cresciuti o grandi, giovani anziani o vecchi, al buio si è tutti uguali.
buona notte biondino.


Forse si muore oggi - senza morire.
Si spegne il fuoco al centro.
Sanguinano le bandiere. Generale è la resa.
Ciò che nasce ora crescerà in prigionia.
Reggete ancora porte invisibili dell'alleanza
bastioni di sereno. Puntellate il bene
che si sfalda in briciole in cartoni.
Il popolo è disperso. In seno ad ognuno cresce
il debole recinto della paura - la bestia spaventosa.
A chi chiedere aiuto? E' desolato deserto il panorama.
Si faccia avanti chi sa fare il pane.
Si faccia avanti chi sa crescere il grano.
Cominciamo da qui.

Poiché ogni sentimento particolare è solo vita parziale, e non la vita intera, la vita arde di espandersi nella diversità dei sentimenti, per ritrovarsi in questa somma della diversità... Nell’amore esiste ancora il separato, ma non più come separato, come unito; e il vivente incontra il vivente

La tenerezza trova misteri
dove gli altri vedono problemi

Che vogliono
mi chiamano al citofono
si organizzano
son li sul pianerottolo
a dire che non dormono
per via del mio sassofono
che suona un Evergreen.

Mi barrico
e' gente senza scrupoli


col megafono
mi urlano di arrendermi
"Consegnaci il sassofono
e vattene agli antipodi..."
e arrivederci Broadway.

Chi di notte coltiva
la passione del sax
sappia che i condomini non masticano il Jazz
chi rincorre in pigiama
ideali a go-go
vedrà che rebelot.

Chi si prende la briga
di esibirsi alle tre
vedrà che vita è.
Mi sfrattano
e io per quieto vivere
cambio genere
mi esercito al triangolo


insieme a un tale eccentrico
che sa imitare il trapano
vi scriverò da Broadway.

Chi di notte coltiva
la passione del sax
badi che i condomini
non dormano di già
chi rincorre in pigiama
le chimere del Jazz
vedrà che vita è.


esiste nelle più estreme e lucenti terre del Sud, un ministero nascosto per la difesa della natura dalla ragione; un genio materno, d'illimitata potenza, alla cui cura gelosa e perpetua è affidato il sonno in cui dormono quelle popolazioni. Se solo un attimo quella difesa si allentasse, se le voci dolci e fredde della ragione umana potessero penetrare quella natura, essa ne rimarrebbe fulminata.

esercizio: trattare la felicità come
un organo qualsiasi. Dire tre volte
trentatrè respirare a bocca aperta.
Se fa molto male farsi massaggiare.
Se si infetta d’infelicità disinfettare.
Camminare senza fretta. Riposare.

Comunque sono contento.
Vado in macchina con mio fratello,
beviamo una pinta di Old Crow
non abbiamo in mente nessuna meta,
andiamo e basta.
Chiudessi gli occhi per un minuto
ecco, sarei perduto, ma
potrei stendermi e dormire per sempre
sul ciglio della strada.
Mio fratello mi dà di gomito.
Tra un minuto, chissà, accadrà qualcosa

mercoledì 1 luglio 2020

Tu andrai in fondo a questo viale
che emergerà oltre l’adolescenza,
poi ti volterai verso il fiore della solitudine.
A due passi dal fiore, ti fermerai
ai piedi della fontana da dove sgorgano i miti della terra…
Tu vedrai un bambino arrampicato in cima a un pino sottile,
desideroso di rapire la covata del nido della luce
e gli domanderai: dov’è la dimora dell’Amico?

Nell’ora che il corpo sarà terra, la terra sabbia
e polvere la sabbia, nell’ora in cui
ogni cosa sarà polvere, perché temere?
Finiremo così, naturalmente,
come un fiore di campo,
come un fiore che dice:
“È già tempo di neve, amico mio,
e le stagioni prossime a finire”.
Siamo reti sospese
sull’abisso.

venerdì 12 giugno 2020



Lontano lontano
Oltre Milano
Oltre i gasometri
Oltre i manometri
Oltre i chilometri
E i binari del tram
Lontano lontano
Molto lontano
Oltre l'acqua corrente
E l'elettricità
Là voglio arrendermi
In braccio a una musica
Che chiude il discorso
Delle affinità
Forte petomane
Scritta dal diavolo
In spregio evidente della civiltà
Forse tu non mi amerai
Mi incontrerai
Sorriderai
Ma non mi amerai
Forse tu non mi amerai
Mi ascolterai
Mi seguirai
Ma non mi amerai
La luna la luna
Degli ululati
Lascia ai poeti
Della classicità
Là voglio arrendermi
In braccio a una musica
Che chiude il discorso
Dell'urbanità
Forte petomane
Scritta dal diavolo
In spregio solenne dell'umanità
Forse tu non mi amerai
Mi parlerai
Mi abbraccerai
Ma non mi amerai

Morire quanto necessario, senza eccedere. Rinascere quanto occorre da ciò che si è salvato

Accade
che le affinità d'anima non giungano
ai gesti e alle parole ma rimangano
effuse come un magnetismo. È raro
ma accade.

Può darsi
che sia vera soltanto la lontananza,
vero l'oblio, vera la foglia secca
più del fresco germoglio. Tanto e altro
può darsi o dirsi.

Comprendo
la tua caparbia volontà di essere sempre assente
perché solo così si manifesta
la tua magia. Innumeri le astuzie
che intendo.

Insisto
nel ricercarti nel fuscello e mai
nell'albero spiegato, mai nel pieno, sempre
nel vuoto: in quello che anche al trapano
resiste.

Era o non era
la volontà dei numi che presidiano
il tuo lontano focolare, strani
multiformi multanimi animali domestici;
fors'era così come mi pareva
o non era.

Ignoro
se la mia inesistenza appaga il tuo destino,
se la tua colma il mio che ne trabocca,
se l'innocenza è una colpa oppure
si coglie sulla soglia dei tuoi lari. Di me,
di te tutto conosco, tutto
ignoro.

Citius altius e fortius era un motto giocoso di per sè, era un motto per le Olimpiadi che erano certo competitive, ma erano in qualche modo un gioco. Oggi queste tre parole potrebbero essere assunte bene come quintessenza della nostra civiltà e della competizione della nostra civiltà: sforzatevi di essere più veloci, di arrivare più in alto e di essere più forti. Questo è un po' il messaggio cardine che oggi ci viene dato. Io vi propongo il contrario, io vi propongo il lentius, profundius e soavius, cioè di capovolgere ognuno di questi termini, più lenti invece che più veloci, più in profondità, invece che più in alto e più dolcemente o più soavemente invece che più forte, con più energia, con più muscoli, insomma più roboanti. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo.

Nel tempio maledetto della mia memoria
ci sono alcuni punti oscuri che non ho sbrogliato ancora:
vortici, buchi neri nel mio passato
che cancellano, risucchiano tutto ciò che è stato.
C’è una parte di me che sa benissimo cosa è successo
l’altra fa finta di niente per poter vivere lo stesso
ma guarda un po’ che fatto strano
quali mostri è in grado di creare il cervello umano
mi sembra di vedere dottor Jekyll arrivare da lontano
vuole la mia mano…
La realtà è evanescente e come lei niente
ma i sentimenti restano condensati dentro l’aria
come nuvole che attendono di partorire, gravide
come il mio passato, e qui mi perdo ma una cosa resta:
io preferisco il cuore alla testa
Maria ti amo. Maria ho bisogno di te. Poi la stringo e la bacio, infagottato d'amore e di vestiti. E anche lei si muove, felice della sua apparenza e del nostro amore. E la cosa continua bellissima per giorni e giorni. Una nave, con una rotta precisa che ci porta dritti verso una casa, una casa con noi due soli, una gran tenerezza e una porta che si chiude.

Nelle case
non c'è niente di buono
appena una porta si chiude
dietro un uomo

Succede qualcosa di strano
non c'è niente da fare
è fatale quell'uomo
incomincia a ammuffire

Ma basta una chiave
che chiuda la porta d'ingresso
che non sei già più come prima
e ti senti depresso.

La chiave è tremenda
appena si gira la chiave
siamo dentro una stanza
si mangia si dorme si beve.

Ne ho conosciute tante di famiglie, la famiglia è più economica e protegge di più. Ci si organizza bene, una minestra per tutti, tranquillanti aspirine per tutti, gli assorbenti il cotone i confetti Falqui, soltanto quattrocento lire per purgare tutta la famiglia, un affare. Si caga, in famiglia, si caga bene, lo si fa tutti insieme.

Nelle case
non c'è niente di buono
appena una porta si chiude
dietro un uomo.

Quell'uomo è pesante
e passa di moda sul posto
incomincia a marcire
a puzzare molto presto.

Nelle case
non c’è niente di buono
c'è tutto che puzza di chiuso e di cesso
si fa il bagno ci si lava i denti
ma puzziamo lo stesso.

Amore ti lascio ti lascio.

C'è solo la strada
su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza
c'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza.

Perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.

C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza
c'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza.

Perché il giudizio universale
non passa per le case
e gli angeli non danno appuntamenti
e anche nelle case più spaziose
non c’è spazio per verifiche e confronti.

Laura, ti amo. Laura, ho bisogno di te. Con te io ritrovo la strada, le piazze i giovani, gli studenti. Li avevo lasciati qualche anno fa con la cravatta. Sono molto cambiati, sono molto più belli. Le idee sì, le idee sono cambiate, e i loro discorsi e il modo di vestire. Gli esseri meno, gli esseri non sono molto cambiati. Vanno ancora nelle aule di scuola a brucare un po' di medicina, fettine di chimica, pezzetti di urbanistica con inserti di ecologia, a ore pressappoco regolari, ed esiste ancora il bar, tra un intervallo e l'altro. E poi l'amore, per fabbricarsi una felicità. Come noi ora, una coppia e ancora tante coppie. Unica diversità un viaggio in India su una Due Cavalli. Due, come noi.

E poi ancora una porta
e ancora una casa
ma siamo convinti
che sia un'altra cosa

Perché abbiamo esperienze diverse
non può finir male
perché abbiamo una chiave moderna
abbiamo una Yale.

Perché è tutto un rapporto diverso
che è molto più avanti
ma c’è sempre una casa
con altre aspirine e calmanti.

E di nuovo mi trovo a marcire
in un altra famiglia la nostra la mia
abbracciarla guardando la porta
è la mia poesia.

Amore ti lascio vado via.

C'è solo la strada
su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza.

C'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada nella piazza.

Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.

Lidia, ti amo. Lidia, ho bisogno di te. Ma per favore, in un hotel meublè.

Perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.

C'è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l'unica salvezza.
C'è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada nella piazza.

Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.

Perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta dal dolore e dalle bombe.

E adesso piangi sopra queste mie parole
che ti stanno entrando dritte al cuore
quanto ho camminato col pensiero non ne parlerò mai più
perché tu piangi sopra queste mie parole
che ti fanno vecchia dentro il cuore
quanto bianco ho messo nei capelli colpa della fantasia.

lunedì 18 maggio 2020

Più non mi temono i passeri. Vanno
vengono alla finestra indifferenti
al mio tranquillo muovermi nella stanza.
Trovano il miglio e la scagliuola: dono
spanto da un prodigo affine, accresciuto
dalla mia mano. Ed io li guardo muto
(per tema non si pentano) e mi pare
(vero o illusione non importa) leggere
nei neri occhietti, se coi miei s'incontrano,
quasi una gratitudine.
Fanciullo,
od altro sii tu che mi ascolti, in pena
viva o in letizia (e più se in pena) apprendi
da chi ha molto sofferto, molto errato,
che ancora esiste la Grazia, e che il mondo
TUTTO IL MONDO - ha bisogno d'amicizia.

venerdì 15 maggio 2020


Ammettiamolo: la maggior parte delle email scambiate nelle ultime settimane avevano come primo obiettivo di verificare che l’interlocutore non fosse morto, né sul punto di esserlo. Ma, compiuta questa verifica, cercavamo comunque di dire cose interessanti, cosa non facile, perché questa epidemia riusciva nell’impresa di essere allo stesso tempo angosciante e noiosa. Un virus banale, apparentato in modo poco prestigioso a oscuri virus influenzali, dalle possibilità di sopravvivenza poco note e caratteristiche confuse, a volte benigno a volte mortale, neanche trasmissibile per via sessuale: insomma, un virus senza qualità. Questa epidemia poteva anche fare qualche migliaio di morti tutti i giorni nel mondo, produceva comunque la curiosa impressione di essere un non-evento. Del resto, miei stimabili colleghi (alcuni sono pur sempre stimabili) non ne parlavano granché, preferivano affrontare la questione del confinamento; e vorrei qui aggiungere il mio contributo ad alcune delle loro osservazioni.

Frédéric Beigbeder (di Guéthary, Pyrénées Atlantiques). Uno scrittore in ogni caso non vede molta gente, vive da eremita con i suoi libri, il confinamento non cambia granché le cose. Sono d’accordo, Frédéric, quanto alla vita sociale non cambia quasi nulla. Solo, c’è un punto che dimentichi di considerare (senza dubbio perché, vivendo in campagna, sei meno vittima dei divieti): uno scrittore ha bisogno di camminare. Questa quarantena mi pare l’occasione ideale per chiudere una vecchia querelle Flaubert-Nietzsche. Da qualche parte (non ricordo dove), Flaubert afferma che non si pensa e non si scrive bene se non seduti. Proteste e ironie di Nietzsche (anche qui non ricordo dove), che arriva a dare a Flaubert del nichilista (quindi siamo all’epoca in cui Nietzsche aveva già cominciato a usare il termine a vanvera): lui stesso ha concepito tutte le sue opere camminando, quel che non è concepito camminando non ha alcun valore, del resto è sempre stato un danzatore dionisiaco, eccetera. Poco sospettabile di simpatia esagerata per Nietzsche, devo tuttavia riconoscere che in questo caso è piuttosto lui ad avere ragione. Mettersi a scrivere se nell’arco della giornata non ci si può dedicare a molte ore di marcia a ritmo sostenuto è da sconsigliarsi fortemente: la tensione nervosa accumulata non arriva a sciogliersi, i pensieri e le immagini continuano a vorticare dolorosamente nella povera testa dell’autore, che diventa rapidamente irritabile, o pazzo. La sola cosa che conta davvero è il ritmo meccanico della marcia, che non ha per ragion d’essere principale quella di fare emergere idee nuove (benché questo possa accadere, in un secondo tempo) ma di calmare i conflitti indotti dallo choc delle idee nate al tavolo di lavoro (ed è qui che Flaubert non ha del tutto torto); quando ci parla dei suoi concetti elaborati sui pendii rocciosi dell’entroterra nizzardo, nei prati dell’Engadina eccetera, Nietzsche divaga un po’: a meno che non si debba scrivere una guida turistica, i paesaggi attraversati hanno meno importanza del paesaggio interiore.

Catherine Millet (normalmente piuttosto parigina, ma che si è trovata per caso a Estagel, Pirenei orientali, quando è arrivato l’ordine di non muoversi). La situazione attuale le ricorda dolorosamente la parte «anticipazione» di uno dei miei libri, «La possibilità di un’isola». Lì mi son detto che era bello, comunque, avere dei lettori. Perché a me il collegamento non era venuto in mente, mentre è assolutamente limpido. Se ci ripenso, è proprio quel che avevo in mente all’epoca, riguardo all’estinzione dell’umanità. Niente che assomigliasse a un film spettacolare. Qualcosa di abbastanza mesto. Individui che vivono isolati nei loro cubicoli, senza contatto fisico con i loro simili, giusto qualche scambio via computer, via via meno frequente.

Emmanuel Carrère (Paris-Royan; sembra avere trovato un motivo valido per spostarsi). Nasceranno libri interessanti, ispirati da questo periodo? Se lo domanda. Me lo chiedo anche io. Mi sono davvero posto la questione, ma in fondo credo di no. Sulla peste abbiamo avuto molte cose, nel corso dei secoli, la peste ha interessato molto gli scrittori. Nel nostro caso invece ho qualche dubbio. Intanto, non credo mezzo secondo alle dichiarazioni del tipo «niente sarà più come prima». Al contrario, tutto resterà esattamente uguale. Lo svolgimento di questa epidemia è anzi notevolmente normale. L’Occidente non è, per l’eternità, per diritto divino, la zona più ricca e sviluppata del mondo; è finito, tutto questo, già da qualche tempo, non è certo uno scoop. Se andiamo a vedere nel dettaglio, la Francia se la cava un po’ meglio che la Spagna o l’Italia, ma meno bene che la Germania; anche qui, nessuna grossa sorpresa. Il coronavirus, al contrario, dovrebbe avere per risultato principale quello di accelerare certi mutamenti in corso. Da qualche anno ormai l’insieme delle evoluzioni tecnologiche, che siano minori (video on demand, pagamento senza contatto) o maggiori (il telelavoro, gli acquisti su Internet, i social media) hanno avuto per conseguenza principale (principale obiettivo?) quella di diminuire i contatti materiali, e soprattutto umani.

L’epidemia di coronavirus offre una magnifica ragion d’essere a questa tendenza di fondo: una certa obsolescenza che sembra colpire le relazioni umane. Cosa che mi fa pensare a un luminoso paragone che ho trovato in un testo contro la procreazione medicalmente assistita scritto da un gruppo di attivisti chiamati «gli scimpanzé del futuro» (li ho scoperti su Internet; mai detto che Internet presentasse solo inconvenienti). Dunque, li cito: «Presto, fare bambini da soli, gratis e lasciando margine al caso, sembrerà incongruo tanto quanto fare l’autostop senza una piattaforma web». Il car-pooling, la condivisione delle case: abbiamo le utopie che meritiamo, ma lasciamo perdere. Sarebbe altrettanto falso affermare che abbiamo riscoperto il tragico, la morte, la finitezza, etc. La tendenza ormai da oltre mezzo secolo, ben descritta da Philippe Airès, è di dissimulare la morte, per quanto possibile; ed ecco, mai la morte è stata tanto discreta come in queste settimane. La gente muore in solitudine nelle stanze di ospedale o delle case di riposo, viene seppellita immediatamente (o incenerita? La cremazione è più nello spirito del tempo), senza invitare nessuno, in segreto.

Morte senza che se ne abbia la minima testimonianza, le vittime si riducono a una unità nella statistica delle morti quotidiane, e l’angoscia che si diffonde nella popolazione mano a mano che il totale aumenta ha qualcosa di stranamente astratto. Un’altra cifra ha acquisito molta importanza in queste settimane, quella dell’età dei malati. Fino a quando vanno rianimati e curati? 70, 75, 80 anni? Dipende, a quanto sembra, dalla regione del mondo in cui viviamo; ma in ogni caso mai prima d’ora avevamo espresso con una sfrontatezza così tranquilla il fatto che la vita di tutti non ha lo stesso valore; che a partire da una certa età (70, 75, 80 anni?), è un po’ come se si fosse già morti. Tutte queste tendenze, l’ho detto, esistevano già prima del coronavirus; non hanno fatto che manifestarsi con una nuova evidenza. Non ci sveglieremo, dopo il confinamento, in un nuovo mondo; sarà lo stesso, un po’ peggiore.
Dischiudi gli occhi, schiudili al più presto
sul fittissimo orrore della vita,
prima che un grande nubifragio spazzi
tutto quello che c’è nella tua patria, –
lascia maturare il giusto sdegno,
prepara al lavoro le braccia…
E se non puoi, fa sì che in te si accumuli
e divampi il fastidio e la mestizia…
Ma di questa vita menzognera
cancella l’untuoso rossetto
e, come talpa timida, nasconditi
sotto terra alla luce ed impietrisci,
tutta la vita odiando con ferocia
e tenendo in dispregio questo mondo,
e, anche se tu non veda l’avvenire,
dici no alle cose del presente.

Con quanta faciltà n'ammore po' murì,
A scena è tale e quale a quann'è nata,
Con quanta faciltà n'ammore se ne va
E nun 'o ferma cchiù nemmeno Dio.
E si sta cocc'run a luntan' che guard'
Sta scena rimmane incantato,
Pecchè nun ha capit' manch'isso
Cu quant'emozione ci avimm' lassà.
E ci appicciamm' n'ata sigaretta
Quasi rassignat' senza ci guardà, mentre 'a luna
Pe' dispiett' se ne sta trasenn' ci vò fa vasà.
Comm'è difficile st'ammore inutile, l'avimm'
Programmato troppe vote ma 'o curaggio nun ce stà.
E dopp' n'anno nun ce stà cchiù a forza
Pe affruntà 'e scenate 'e chi ce vò aspettà
E nemmeno dint'all'uocchie
Cu stu mal' tiempo nun ce chiove cchiù.
Si amma cumbattere sempe pe' perdere
Stasera nun è comm'all'ate sere nun ci ammà telefonà.
Sti cori a piezz' già nun l'amma cchiù accuncià
Ormai l'avimm' fatt' troppe vote
Tu vai nun te girà, nun me da rett' cchiù
Aiutam' tu pure a turnà addret'
E m'accatt' chiagnenn' 'e surrise
Se dint'a cucina sta 'a luce appicciata,
Ma se invece già trov' addurmut'
So' assai cchiù cuntent' dint'o scur'a murì.
E ci appicciamm' n'ata sigaretta
Quasi rassignat' senza ci guardà, mentre 'a luna
Pe' dispiett' se ne sta trasenn' ci vò fa vasà.
Comm'è difficile st'ammore inutile, l'avimm'
Programmato troppe vote ma 'o curaggio nun ce stà.
E dopp' n'anno nun ce stà cchiù a forza
Pe affruntà 'e scenate 'e chi ce vò aspettà
E nemmeno dint'all'uocchie
Cu stu mal' tiempo nun ce chiove cchiù.
Si amma cumbattere sempe pe' perdere
Stasera nun è comm'all'ate sere nun ci ammà telefonà
O telefone tocou novamente
Fui atender e não era o meu amor
Será que ela ainda está muito zangada commigo
Que pena há, há, há
Que pena
Que pena há, há, há
Que pena
Pois só ela me entende e me acode
Na queda ou na ascensão
Ela é a paz da minha guerra
Ela é meu estado de espírito
Ela é a minha proteção
Que pena há, há, ha
Que pena
Que pena há, há, ha
Que pena
Com ela eu sou mais eu
Com ela eu sou um anjo
Com ela eu sou criança
Eu sou a paz, Eu sou o amor
E a esperança
O telefone tocou novamente


Citius altius e fortius era un motto giocoso di per sè, era un motto appunto per le Olimpiadi che erano certo competitive, ma erano in qualche modo un gioco. Oggi queste tre parole potrebbero essere assunte bene come quinta essenza della nostra civiltà e della competizione della nostra civiltà: sforzatevi di essere più veloci, di arrivare più in alto e di essere più forti. Questo è un po' il messaggio cardine che oggi ci viene dato. Io vi propongo il contrario, io vi propongo il lentius, profundius e soavius, cioè di capovolgere ognuno di questi termini, più lenti invece che più veloci, più in profondità, invece che più in alto e più dolcemente o più soavemente invece che più forte, con più energia, con più muscoli, insomma più roboanti. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo.

martedì 28 aprile 2020

C’è nella tristezza un contagio
amore mio, e da questo si vede
che abbiamo fatto comune cuore
e siamo uno che pare due.
Allora io
insemino la gioia
in questa cosa che non consiste
però esiste e tiene entrambi appesi.
La gioia ce la metto io.

Grândola Vila morena
Terra da fraternidade
O povo é quem mais ordena
Dentro de ti ó Cidade
Em cada esquina um amigo
Em cada rosto a igualdade
O povo é quem mais ordena
Dentro de ti ó Cidade
Dentro de ti ó Cidade, oh, oh, oh
Juro em ter a companheira
A sombra de uma azinheira
Que já não sabia a idade
Di strani pulviscoli stridono
le pareti, la nuca
intirizzita. Un perdersi occhiuto
per le pietre, le astute siepi di Cuma
– voci d’acqua, di buio, zampe
che frugano in botole d’azzurro -, un
beato non sapere chi
attizza il fuoco, spinge la ruota.
Fuggono gli anni, piste
incrociate, si addensano notizie, anche
le più improbabili, risaltano
ferite da archi e colombari, senza
nome balenano galassie. Nel vuoto
un muoversi, uno scuotersi allarmato.
Cumae: prato e naufragio..

Ce vo' tiempo ce vo' tiempo pe' fa' juorno
L'ora 'e notte ancora adda' suna'
Fore chiove pare gia' turnato vierno
I' nun dormo nun dormo e penz' a te
Sott' 'o sole quann'era ancora esta'
Sott' 'o sole quann'era ancora esta' a' a' a' a'
E lucente d'acque mare sott' 'o sole
Comme allora me pare 'e te vede'
Sott' 'o sole quann'era ancora esta'
Sott' 'o sole quann'era ancora esta' a' a' a' a'
Dimane a primma matina te vengo a sceta'
'O sole pure si chiove te vengo a purta'
Te vengo a purta'
Ce vo' tiempo ce vo' tiempo pe' fa' juorno
I' nun dormo nun dormo e penz' a te
Dimane a primma matina te vengo a sceta'
'O sole pure si chiove te vengo a purta'
Te vengo a purta'
Ce vo' tiempo ce vo' tiempo pe' fa' juorno
I' nun dormo e penz' a te

Mai c’è stata un’epoca in cui, come oggi, quello che si dice ha più importanza di quello che si fa. Basta che un reazionario dica di essere per la rivoluzione ed è un rivoluzionario. Che un mascalzone dica di essere per l’onestà ed è onesto.

domenica 19 aprile 2020


Se si legge per vivere tutto cambia. Non si tratta più di passare il tempo o di ingannare la noia, non si tratta di accrescere la propria cultura quantitativa e non si tratta di apprendere cose specialistiche: quando si legge per vivere, ciò che va in pezzi è la prigione in cui ognuno è chiuso, e quando la propria gabbia si è rotta, l’esperienza della libertà è così esaltante che cominciamo a vedere con dolore anche le gabbie altrui: e non ci basta essere liberi da soli in un mondo di prigionieri

giovedì 16 aprile 2020


mercoledì 15 aprile 2020

Caro Adriano
al telefono dici “va bene, sentiamoci..” e mi resta sempre il sentimento di averti disturbato. Che ci sentiamo un’altra volta, questa volta no! Non so se “ci sentiamo” sia uguale a “come stai?”, una espressione obbligata della forma, a cui bisogna sempre rispondere nello stesso modo.
Vorrei lamentarmi molto, ma non ho appigli e non so dove portare il mio lamento. Bisogna, mi pare di capire, essere asciutti come marinai o come donne che hanno già pianto. Bisogna sapere che quello che ci aspetta lo abbiamo già avuto e che adesso il naso prende perché il tempo incalza. E smonta i volti, ne riscrivere la trama. Io per esempio a volte ho l' impressione che il tempo cancelli gli zigomi come se questi fossero scritti con la matita, sicchè mi prende la nausea di avere quasi quarant' anni e una faccia da bambina pesta. Destinata a invecchiare in un solo giorno, dopo una decisiva tempesta ormonale (le facce un certo punto si rivestono del carattere dell' opinione che sia ha di se. Credo che lo status serva a questo; a difendersi dallo smascheramento del tempo).
A Vienna ho conosciuto il Dalai Lama. Rispondeva ai giornalisti con molta leggerezza mescolando le parole alle risate. Ha detto che milioni di cinesi crescono senza avere la nozione della spiritualità né del sentimento della religione. Lui può insegnare loro la nonviolenza e questa è l' unica possibilità vera per la Cina e per gli altri che il bene vinca sul male. Quest' ultima cosa la dico io: per i tibetani non c'è bene e non c'è male.
C'è solo il divenire la trasformazione e la completa partecipazione all' attimo che segue l' attimo.
questo vuol dire essere centrati in se stessi, godere dell' universo, essere un vuoto dove passa ogni cosa.
Dove non c'è paura. E’ una condizione che conosciamo anche noi sebbene non la perseguiamo come permanente nella sua trasformazione. A me accade di provarla quando faccio una cosa qualunque, lavare i piatti o giocare con la bella Mimina, e sono tutta in quella cosa.
Allora, prima che la mente mi mostri me stessa, nell' atto compiuto (quando arriva la mente è già tutto accaduto) io provo un grande benessere e una assoluta mancanza di fatica.
Naturalmente mi accade di essere vuoto anche quando scrivo. Allora è come se la scrittura fosse automatica, come se io non ci fossi. C'è un grande silenzio e le parole vengono da sole. Sono belle perfette: il punto più vicino alla verità che mi è concesso di conoscere. La creazione accade nel vuoto. E questa è la preghiera. Così quando mi sono mescolata alla folla dei fedeli del Dalai Lama e l' ho raggiunto, mi è presa una specie di paralisi e non riuscivo a risolvermi a fare più nulla.
Sono stata spinta verso di lui e mi sono aggrappata alla mano che tendeva. Ho sentito una esplosione di calore al centro del petto e un dolore acre alla gola, come quando si corre molto e viene la fatica del respiro. Sono rimasta alcuni secondi incapace di tirare il fiato, con il sentimento che avrei potuto svenire.
Poi ho aperto i polmoni ed ero felice come quando da piccola tornavo da una processione (ho sempre pensato che le processioni fossero un appuntamento mio personale con i santi la Madonna il Sacro Cuore di Gesù). Quando sono tornata in albergo cercavo su me stessa il segno lasciato dall' energia dell'incontro. C'era, ma tu mi prenderesti in giro.
Ho pensato che fosse giusto apparire sui giornali nascosti interamente da lettere Save Tibet come tibetani che dimostravano all' interno della Conferenza dei Governi.
Una buona azione viene sempre premiata. Era d'accordo anche Calvino: il premio del bene è il bene compiuto. Queste riflessioni non mi hanno impedito di massacrare una ragazza tedesca che stava con noi. Come dice Sergio, sono una razzista dell'intelligenza. Secondo me sono una ragazza della via Pal.
Allora “ci sentiamo”…

Mariateresa
estate '94

domenica 12 aprile 2020

sarà che c'è un buco nella pancia, uno nuovo
e vuole spazio si dilata si spande esplode fino in gola e mozza il fiato e poi ti soffoca
allora c'è solo una cosa da pensare
io sono vivo
e funziona
il buco è sempre lì, ma adesso respiri

Bisogna dedicarsi pian piano
precisamente
a briciole per uccelli sul davanzale nord
Piegati su di sé lavare il pavimento
come il corpo di un Dio bambino
Guardare i piatti sgocciolare
come una luna che spazza via l'ovvio tra gli alberi
Perdere intenti e rimedi
contro il restare
Soffermarsi cauti
su ogni vuoto di voce
e affetto di silenzio
Lavorare come minatori
al capezzale delle parole
aspettare disperati
In cambio del fiore di gelsomino

dolce compagno
resisti ancora
dammi la mano
io sono qui
'A nuttata è passata
e stanno ancora durmenne chille là 'ncoppa,
vulesse sapè comme fanno cu stu calore..
si jamme annanze accussì scoppierà n'epidemia
nu brutto culera, che saccio?
'a peste d'e surice, 'na malaria spagnola, 'a freva gialla,
e allora forse hanno ragione loro, chille là 'ncoppa
è meglio ca se dorme, quando se dorme, nun se sente niente..

'a morte ccà è sulo festa a mare
nu rinfresco
un giro pirotecnico
cchiù terribile 'e n'invasione
più inoffensivo dello squittio di un topo
aret'a Dragonara, pe Miseno
pe dint'e bbuche astritte da villa 'e Vespasiano,
felicità è nu muorzo 'a nu dito 'e nu cristiano
- mmocca.
Tutto è parola muta
nu film visto all'aria d'o Castiello
ca nuttata ferma
azzeccata 'ncopp'a pelle comme a nu francobollo.

E ca io so stato ccà l'avranno immaginato
sbirciato a cocche parte
rimediato nello zero di una storia mai vissuta -
nun esistono passagge mmiez'a ll'ombre
ne varchi tra le acque,
se ci sono solo acque.
Niente.
aggio pruvato a muzzecà 'a passione
senza me fa vedè
standomene nascosto
chello che lascio è l’IMPOSSIBILE
scheggie, crastule, piccoli frammenti
e’ carte mie c’abbruciano, cenere.

Vengono da me, ogni tanto, ricordi del forte sentore
di hashish
e m’addormono.
i tempi felici verranno presto

lì dove c'è il pericolo cresce anche ciò che salva

«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.

Non è facile essere un uomo libero: scappare dalla peste, organizzare incontri, aumentare la potenza di agire, influenzarsi di gioia, moltiplicare gli effetti che esprimono il massimo di affermazione. Fare del corpo una potenza che non si riduce all'organismo, fare del pensiero una potenza che non si riduce alla coscienza.

è tutto così semplice,
sì, era così semplice,
è tale l’evidenza
che quasi non ci credo.
A questo serve il corpo:
mi tocchi o non mi tocchi,
mi abbracci o mi allontani.
Il resto è per i pazzi.
Stasera ci vedremo. Ci diremo
parole che potrebbero portarci
per sempre lontani da noi. Ma anche è possibile
che dopo il sonno e dopo molti sonni
si venga a una notte chiarissima, a un’altra
giornata da intraprendere.
E ora mi chiedo
dov’è la forza che prego per noi.
Se tra i miei occhi alla radice della fronte
o sotto lo sterno dove il sussulto si ostina
o nella vetta dell’albero che spia la pioggia
o in te che patisci sulle piccole spalle
il peso del dio senza conoscerlo.

Di sollievo in sollievo tutte
le carte sparse per terra o sul tavolo, lisce per credere
che il futuro m'aspetta.
Che m'aspetti il futuro! Che m'aspetti che m'aspetti il futuro
biblico nella sua grandezza, una sorte contorta non l'ho trovata
facendo il giro delle macellerie.
Hai bisogno di te
hai bisogno di questo tempo in cui non si cucina e non si prega
Si sta
Soli improvvisati
abbandonati e senza senso
si sta, frastornati
e vuoti. Si sta
e l'indomabile fiducia
accucciata fuori dalla porta
come un cane folle
di devozione
dorme sonni che contengono alba

se te ne vai
domani portami con te
[ma po' addo jamme]
Ricorro a te di nuovo
dopo averti spergiurato.

Succede così soltanto
con i più stretti parenti anziani,
con le sostanze della nostra dipendenza.
Mi succede con te.

Mi consola chissà perché pensare
che non sei arte ma appena
il documento della mia incapacità
di non fare storie,
il mio magone
ogni volta che l'emozione è attuale
e che per sorseggiarla
senza scottature
sono forzato a farne novella,
tiritera della memoria.

quando arrivo da fuori, appena tocco questa mia zona natale, comincio senza accorgermene a parlare in dialetto. Nessuno crederà che una volta ebbi la voglia repentina di mangiare del pane del mio paese, così partii sui due piedi da Milano, e quella notte mi addormentai col letto pieno di briciole.
Dice che è una questione di linguaggi».
«Linguaggi?».
Lei fece lo sguardo affilato che le conoscevo bene.
«Non linguaggi per scrivere romanzi» disse e mi turbò il tono svalutativo con cui pronunciò la parola romanzi, mi turbò la risatina che seguì. «Sono linguaggi di programmazione. La sera, dopo che il bambino s’è addormentato, Enzo si mette a studiare».
Aveva il labbro inferiore secco, spaccato dal freddo, il viso sciupato dalla fatica. Eppure con quale fierezza aveva pronunciato: si mette a studiare. Capii che, malgrado la terza persona singolare, non s’era appassionato solo Enzo a quella roba.
«E tu che fai?».
«Gli tengo compagnia: lui è stanco e da solo gli viene da dormire. Insieme invece diventa bello, uno dice una cosa, uno ne dice un’altra. Lo sai cos’è un diagramma a blocchi?».
Scossi la testa. Gli occhi allora le diventarono piccolissimi, mi lasciò il braccio, cominciò a parlare per tirarmi dentro a quella sua nuova passione. Nel cortile, tra l’odore del falò e quello greve dei grassi animali, della carne, dei nervi, questa Lila incappottata ma anche chiusa in un grembiule blu, le mani tagliate, arruffata, pallidissima, senza ombra di trucco, riprese vita ed energia. Parlò di riduzione d’ogni cosa all'alternativa verofalso, citò l’algebra booleana e tante altre cose di cui non sapevo nulla. Eppure le sue parole, al solito, riuscirono a suggestionarmi. Mentre parlava, vidi la casa poverissima di notte, il bambino che dormiva nell'altra stanza; vidi Enzo seduto sul letto, fiaccato dalla fatica ai locomotori di chissà quale fabbrica; vidi lei stessa, dopo la giornata alle vasche di cottura o allo spolpatoio o alle celle a meno venti gradi, che sedeva con lui sulle coperte.
Li vidi entrambi nella luce formidabile del sacrificio del sonno, ne sentii le voci: facevano esercizi coi diagrammi a blocchi, si allenavano a ripulire il mondo dal superfluo, schematizzavano le azioni d’ogni giorno secondo due soli valori di verità: zero e uno.
Parole oscure nella stanza miserabile, sussurrate per non svegliare Rinuccio.
Capii che ero arrivata fin là piena di superbia e mi resi conto che – in buona fede certo, con affetto – avevo fatto tutto quel viaggio soprattutto per mostrarle ciò che lei aveva perso e ciò che io avevo vinto. Ma lei se ne era accorta fin dal momento in cui le ero comparsa davanti e ora, rischiando attriti coi compagni di lavoro e multe, stava reagendo spiegandomi di fatto che non avevo vinto niente, che al mondo non c’era alcunché da vincere, che la sua vita era piena di avventure diverse e scriteriate proprio quanto la mia, e che il tempo semplicemente scivolava via senza alcun senso, ed era bello solo vedersi ogni tanto per sentire il suono folle del cervello dell’una echeggiare dentro il suono folle del cervello dell’altra.

lunedì 3 febbraio 2020

Ti scrivo della mia stanchezza immotivata.
Oggi sarebbe un giorno calmo
quasi felice
se tra le nuvole un sole appuntito
non occhieggiasse
talvolta in tralice
talvolta liberato in piena gloria.

Scarti violenti di luce e vaste ombre
dilaganti senza preavviso
senza riposo mi accasciano
e per poco - amico - non mancavo
a questa lettera che pure è confortante.

Scrivi che tu sei felice e che leggi
tutti i libri che non riesco a tenere in mano:
quasi mi cura saperti sereno attivo
e molto lontano.

giovedì 30 gennaio 2020

Tutto sopporta tutto e si vorrebbe
cedere, uscire, non essere più.

Ma ancora dieci passi prima della scarpata,
prima del piombo in cuore,
ancora dieci attimi prima della corsa ultima
nella luce del fosforo,
ancora dieci anni per chiedere la pietà.

Ma anche per rivivere e lavorare,
e disperare per rivivere
morire per lavorare,
disperare per morire,
lavorare per rivivere.