mercoledì 30 dicembre 2009

2010

un letto disfatto e una vita da rifare

#4

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martedì 29 dicembre 2009

n#7

comincio io con una lettera di quattro anni fa.
quando bisognava inventarsi uno stile d'altri tempi che permettesse di pensare a quel dolore come qualcosa appartenente ad un mondo distante, non reale



Ricevo i vostri messaggi sporadicamente ma difficilmente trovo un po’ di coraggio per rispondervi. Chiamando a raccolta tutte le forze che ancora mi restano la sera, al ritorno. Se sapeste che gioia e che dolore mi danno le vostre parole. Mi dite che desiderate vedermi, ma sono trascorsi meno d’un mese appena dall’ultima volta che vi ho incontrata e, credetemi, da allora sono troppi i cambiamenti che m’hanno reso al di sopra degli occhi altrui. E’ passato così poco tempo e già fremiamo a volte d’insofferenza, distanti. Le distrazioni mi procurano un po’ di sollievo, ma io stesso di fronte allo specchio che mia madre si premura di lucidare ogni giorno con gran cura, stento a rammentare gli occhi che furono. Le mie gote sono avvinazzate, ricoperte di macchie rosee, e lo sguardo opaco ormai incapace di accogliere la luce di un tempo. Ma ho imparato che ci si adatta al proprio dolore forse altrettanto improvvisamente che alla propria felicità.
Ma ditemi di voi. Dalle vostre poche battute non apprendo granchè a questo proposito. Vi confesso la mia preoccupazione. Al momento le giornate trascorrono un po’ vaghe, immerse in una sorta di gradevole tedio.
Fino a poco tempo fa di mattino mia madre mi accompagnava fino alle stazioni più vicine. Arrivavo solitamente al lungomare molto presto, quando i vapori di nebbia salgono ancora dal mare e la luce dell’aurora si distende come una patina opaca e sottile sulla superficie dell’acqua. Sapete, questa è l’ora più bella per ascoltare il fruscio della risacca che, pigramente, risorge dalle ombre della notte. Gli autunni marini a volte sanno essere terribilmente avari, perché in quei momenti la dolcezza raggiunge limiti estremi e voi non ci siete accanto.
Le mie forze stanno sciogliendosi giorno dopo giorno e da qualche tempo non ci ritorno più così presto lì, è come uno schianto ad ogni alba. Vorrei restare a letto ma ho paura anche di quello.
Vedete, quando chiudiamo gli occhi abbiamo l’illusione che anche il nostro dolore riposi insieme con noi. Nel regno del sonno ogni cosa diviene più lieve, ma anche più profonda, smisuratamente immensa. Non v’è nulla di così grave come un’ombra. Nessun altro peso altrettanto penoso e insostenibile. Le ombre tacciono, permettono i nostri tormenti. E’ la vita ciò che occorre interrogare, la vita ciò che conta sempre e in ogni caso.
Il tempo non ci appartiene mai realmente, ma è nella certezza del suo accadere infinito che noi riponiamo la speranza. questo è il mio sogno.
Oh quanta voglia avrei di avervi qui, in questo momento! Quanto bisogno delle vostre carezze e dei vostri baci! Quanta brama di poter toccare la vostra pelle e di sciogliervi i capelli. Quanto desiderio di farvi capire, di non arrecarvi mai più tristezza! Ma come riuscirci?
So bene di non bastarvi. Spero possiate trovare un posto anche per me nei vostri pensieri
Per adesso vi bacio, vostro
b.

29.12.08

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ero un lupo in agguato, a guardia di luci lontane

Schiume

Con il mio corpo sulle spalle -
sangue dal naso contro la nuca,
bava verde sopra la tua mano -
discenderai questa montagna, Rainer:
vico della Calce, vico della Neve,
vico Cimitile, vico Filatoio,
epperò
tutt'a sghimbescio, tutto sottosopra,
specchio capovolto nella rètina dell'occhio,
cono rovesciato
la stanza sarà vuota come prima, senza me -
vuoto, altrettanto, il cunicolo di luce
la tana della poesia al terzo piano.
Avanzerai ingobbito, tu, al posto mio,
sotto il peso di un grifone a quattro teste -
mon cadavre -
piume ed artigli impallinati,
piombo scarlatto sulle lingue penzolanti.
Navi entreranno a Babilonia
su per le scalette, malsicure e puzzolenti,
degli embargos di Toledo:
spugna, la mia pelle, saliva, la scrittura:
sarò buono da mangiare alla Tavola dei Poveri -
festa di santa Maria - Cannibala -
occhi scuri, scuri, tragici, Medea.

mercoledì 23 dicembre 2009

e la voglia di vivere in un europa inutile, serpeggia sotterranea, e non affiora

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boulevard

Pensare per coppie pare che sia una necessità. Non si può dire caldo senza pensare al freddo, bianco senza coinvolgere il nero. Qualche volta le coppie sono del tutto arbitrarie.
Da bambino, a pochi anni di distanza dalla fine della prima guerra mondiale, quando sentivo dire “trento e trieste” vedevo due città sorelle, una sulla riva destra l’altra sulla riva sinistra di un fiume, con un ponte in mezzo. Il fiume era il Piave (molti dicevano ancora La Piave). Credo che molta gente continui a pensare “trento e trieste” allo stesso modo infantile.
Un'altra coppia arbitraria è “Grimm e Andersen”. Arbitraria come “trento e trieste”, ma anche di più, se non altro perché i Grimm erano in due, Jakob e Wilhelm, già per conto loro.
Una volta nel 1845, Andersen andò in Germania e si fece presentare a Jakob Grimm. “Chi è lei? Cosa ha scritto?” domandò il tedesco. “Fiabe”, rispose il danese, “ma lei deve conoscermi; è stata pubblicata una raccolta di fiabe di tutto il mondo dedicata a lei, in cui è riportata anche una mia fiaba…”. “Bene”, riprese il tedesco, “ma io quel libro non l’ho letto”!.
In seguito Andersen ottenne la sospirata amicizia dei due famosi fratelli che ignoravano ancora quanto lui fosse, a sua volta, famoso. Resta il valore simbolico dell’aneddoto: voi chi siete? si potrebbero domandare a vicenda le fiabe di Andersen e Grimm, e se alcune di loro potrebbero scoprirsi lontanamente parenti, in maggioranza sono estranee.
I Grimm raccolsero le loro fiabe dalla bocca del popolo tedesco, in un particolare momento del Romanticismo, anche se per fortuna non si comportarono da freddi scienziati del folklore.
Andersen raccontò a sua volta qualcuna delle fiabe ascoltate da bambino riportate nel libero ricordo della sua memoria; ma il corpus magnum delle sue fiabe se lo è tirato fuori, pagina per pagina, dalla sua fantasia e dalla sua vita.
I lettori hanno diritto, naturalmente, di disinteressarsi del processo che ha portato al prodotto finito...

Gianni Rodari
Prefazione dell’edizione del 1970 a
Fiabe – Hans Christian Andersen (Einaudi, 1954)

lunedì 21 dicembre 2009

la favola è dentro di me

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infondo Christian Hans Andersen ha scritto le sue opere principali nel suo anno di permanenza a Napoli...

martedì 8 dicembre 2009

Numanzia

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domenica 6 dicembre 2009

dalla parte del coltello

luna domenicale-io se sono vivo lo sono in questa terra-lo sono per la gioia di conoscerla-e darmi ad essa-per averla

militanz

Nell'era postmoderna, quando la figura del popolo si dissolve, il militante è colui che meglio esprime la vita della moltitudine. il militante è l'agente della produzione biopolitica e della resistenza contro l'Impero.
Quando diciamo militante, non pensiamo al triste ascetico agente della Terza Internazionale, la cui anima era profondamente impregnata dalla ragion di stato sovietica, nello stesso modo in cui la volontà del papa gravava sui cuori dei cavalieri della Compagnia di Gesù.
Non intendiamo qualcuno che agisce per dovere e disciplina e che pretende di dedurre le proprie azioni da un piano ideale.
Intendiamo, al contrario, qualcuno che è molto ai combattenti comunisti delle rivoluzioni del XX secolo, agli intellettuali perseguitati ed esiliati nel corso delle lotte antifasciste, ai repubblicani della Guerra Civile spagnola e a coloro che parteciparono ai movimenti di resistenza in Europa, a coloro che hanno lottato per la libertà in tutte le guerre anticoloniali e antimperialiste.
Un prototipo di questa figura rivoluzionaria è il militante agitatore degli Industrial Workers of the World. I Wobbly diedero vita ad associazioni di lavoratori costruite dal basso attraverso continue agitazioni e, con questa forma di organizzazione, costituirono un pensiero utopico e una conoscenza rivoluzionaria.
Il militante era il protagonista principale della "lunga marcia" dell'emancipazione del lavoro tra XIX e XX secolo: una creativa singolarità in quel gigantesco movimento collettivo che fu la lotta di classe operaia.
In questo lungo periodo, l'attività del militante consisteva, prima di tutto, in una serie di pratiche di resistenza contro lo sfruttamento capitalistico in fabbrica e nella società. Essa consisteva, inoltre (attraverso, ma anche oltre la resistenza) in una costruzione collettiva e nell'esercizio di un contropotere capace di destrutturare il potere capitalistico e di contrapporgli un programma alternativo di governo.
Il militante organizzava le lotte contro il cinismo della borghesia, l'alienazione monetaria, l'espropriazione della vita, lo sfruttamento del lavoro e la colonizzazione degli affetti. l'insurrezione era l'orgoglioso emblema del militante. Nella tragica storia delle lotte comuniste il militante fu ripetutamente martirizzato. Talvolta, ma non tanto spesso, le normali strutture dello stato di diritto potevano essere sufficienti per i compiti repressivi volti alla distruzione del contropotere. Quando però si rivelavano insufficienti, i fascisti e le guardi bianche dello stato del terrore - o le mafie nere al servizio dei capitalismi "democratici" - venivano invitati a dare una mano per rafforzare le strutture repressive legali.
Oggi, dopo troppe vittorie del capitalismo, dopo che le illusioni del socialismo sono definitivamente sfumate, e dopo che la violenza capitalistica contro il lavoro è stata solidificata sotto il nome di ultra-liberismo, perchè risorgono ancora le istanze della militanza, perchè si sono approfondite le resistenze, e come mai le lotte riemergono continuamente con rinnovato vigore ? Occorre sottolineare immediatamente che questa nuova militanza non è una replica delle formule organizzative della vecchia classe operaia rivoluzionaria. Oggi, il militante non pretende neanche di essere rappresentativo, neppure dei fondamentali bisogni umani degli sfruttati.
Oggi, la militanza politica rivoluzionaria deve riscoprire quella che è sempre stata la sua forma originaria: un'attività costituente e non rappresentativa. Oggi, la militanza è una pratica positiva, costruttiva e innovatrice. Questa è la forma in cui noi e tutti coloro che si rivoltano contro il comando del capitale si riconoscono come militanti. I militanti reagiscono al comando dell'Impero creativamente. In altri termini, la resistenza è immediatamente collegata con un investimento costitutivo nel mondo biopolitico, volto alla creazione di dispositivi cooperativi di produzione e di comunità. Questa è la grande novità della militanza contemporanea: essa recupera le virtù dell'azione insurrezionale maturate in duecento anni di esperienze sovversive, ma, nello stesso tempo, è legata a un mondo nuovo, un mondo che non conosce un al di fuori. La militanza conosce solo un dentro, la vitale ed ineluttabile partecipazione al complesso delle strutture sociali senza alcuna possibilità di trascenderle. Il dentro è, allora, la cooperazione produttiva dell'intellettualità di massa e delle reti degli affetti, la produttività della biopolitica postmoderna. Questa militanza resiste nei contropoteri e si ribella proiettandosi in un progetto d'amore.
C'è un'antica leggenda che potrebbe illuminare la vita futura della militanza comunista: la leggenda di san Francesco di Assisi. Vediamo quale fu la sua impresa. Per denunciare la povertà della moltitudine ne adottò la condizione comune e vi scoprì la potenza ontologica di una nuova società. Il militante comunista fa lo stesso nel momento in cui identifica nella condizione comune della moltitudine la sua enorme ricchezza. In opposizione al capitalismo nascente, Francesco rifiutava qualsiasi disciplina strumentale, e alla mortificazione della carne (nella povertà e nell'ordine costituito) egli contrapponeva una vita gioiosa che comprendeva tutte le creature e tutta la natura: gli animali, sorella luna, fratello sole, gli uccelli dei campi, gli uomini sfruttati e i poveri, tutti insieme contro la volontà di potere e la corruzione. Nella postmodernità, ci troviamo ancora nella situazione di Francesco a contrapporre la gioia di essere alla miseria del potere. Si tratta di una rivoluzione che sfuggirà al controllo, poichè il biopotere e il comunismo, la cooperazione e la rivoluzione restano insieme semplicemente nell'amore, e con innocenza. Queste sono la chiarezza e la gioia di essere comunisti.

t.n.

sabato 5 dicembre 2009

Il cielo di Danimarca

E' la Luna
un mulino a vento di un qualche Cervantes,
meta stanca e consunta del poeta,
il fruscio materno di lenzuola rimboccate,
o forse giacigli duri e freddi di marmo e cartone,
per strada.
Luna dei perdenti,
di chi ha scelto di non vincere,
dei sogni d'un prigioniero,
dei prigionieri d'un sogno.
di Dio e della sua impostura,
delle troie luride del suo regime,
la luna dei matti a raccoglier cicche spente dall'asfalto.
E' la Luna
sulle ceneri d'un tramonto,
nella polvere di fango d'un ideale,
nel finestrino dell’ultimo posto infondo
d’un fottutissimo pullman,
la luna dei viados e dei desaparecidos,
dei senza volto sulle strade del mondo,
delle canne lucide delle loro p38 in tasca,
di chi non sa mentire alla propria libertà.
La Luna chiara delle bombe su Belgrado,
delle sue grida di morte calcolata e necessaria,
la Luna dei macete ad Algeri,
del piombo di stato a Realidad,
la Luna di una vita derisa e svenduta
sui cellulari sudici di Wall-Street.
La Luna puttana del maledettissimo giorno
in cui te ne sei andata
seguita dalla scia dei miei sogni in frantumi
e dal sogno pulito del tuo dolore.
La luna della notte in cui sarò io a partire
e mi seguirai
senza troppi perchè
seguirai se vorrai anche la gioia del mio pianto,
la gioia di questa mia guerra,
il mio amore infinito per i tuoi passi.

venerdì 4 dicembre 2009

COP

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