venerdì 29 gennaio 2010

alchimia

ma allora...allora...com'è...com'è che non l'amo più

venerdì 15 gennaio 2010

checosasonolenuvole

Dalla stazione alle strade, ubriaco, la lingua modellata da birra tiepida e scadente…passeggiando un mio fischiare senza senso…di spalle i suoi passi che richiamavano una musica antica... il vento di scirocco a contendersi con le mie labbra il gusto effimero della birra.
la fissai per altri, interminabili, secondi.

mercoledì 13 gennaio 2010

muretti

io pure non aspetto che il vento, na refola qualunque

venerdì 8 gennaio 2010

Come in Atlantide

Lui adesso vive ad Atlantide
con un cappello pieno di ricordi
ha la faccia di uno che ha capito
e anche un principio di tristezza in fondo all'anima
nasconde sotto il letto barattoli di birra disperata
e a volte ritiene di essere un eroe

Lui adesso vive in California
da 7 anni sotto una veranda ad aspettare le nuvole
è diventato un grosso suonatore di chitarre
e stravede per una donna chiamata Lisa
quando le dice tu sei quella con cui vivere
gli si forma una ruga sulla guancia sinistra

Lui adesso vive nel terzo raggio
dove ha imparato a non fare più domande del tipo
conoscete per caso una ragazza di Roma
la cui faccia ricorda il crollo di una diga?
io la incontrai un giorno ed imparai il suo nome
ma mi portò lontano il vizio dell'amore

E così pensava l'uomo di passaggio
mentre volava alto sul cielo di Napoli
rubatele pure i soldi rubatele anche i ricordi
ma lasciatele sempre la sua dolce curiosità
ditele che l'ho perduta quando l'ho capita
ditele che la perdono per averla tradita.

F.dG.
1976

martedì 5 gennaio 2010

#6

Leonetti giocattoli. i trenini. i lindt rossi
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lunedì 4 gennaio 2010

Imaginaria #1

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riflettendo sui nuovi immaginari della napoli postmoderna

sabato 2 gennaio 2010

.echoes

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donne di ferro.

In famiglia eravamo in quindici, undici figli, padre madre nonna nonno. Abitavamo tutti insieme in una casa a via Giusso. Tutti gli uomini della mia famiglia, da mio nonno ai miei fratelli, hanno lavorato all’Italsider. Le donne invece restavano a casa. Il discorso metalmeccanico era un discorso solo maschile. La mia famiglia è sempre stata comunista, a quei tempi Bagnoli era tutta rossa. Mi ricordo che durante lo sciopero dei cinquanta giorni, io portavo da mangiare a mio padre che era chiuso dentro la fabbrica insieme agli altri operai. Anche mia madre era una militante del Pci, stava nella cellula La Strada. Io si può dire che so’ nata comunista a’ dint ’a panza e mammema. Noi siamo però sempre stati anche cattolici, perché un comunista può essere anche cattolico. A essere sincera devo dire che io mi sono avvicinata davvero al partito quando ero già sposata, l’ho fatto per capire mio marito, la sua passione. Gli uomini a quei tempi parlavano poco quando tornavano a casa. Erano sempre stanchi. Le donne hanno cominciato a sapere di quello che succedeva dentro la fabbrica solo quando è arrivata la crisi, e allora sono scese in piazza insieme ai mariti, ai figli.
La fabbrica noi l’avevamo dentro casa. La polvere nera era dappertutto, sul balcone, dentro le camere da letto, nella pelle. Sì, nella pelle. Le ginocchia dei miei figli le dovevo lavare con la retina per farle tornare pulite. Queste inferriate per farle rimanere bianche le pulivo tutti i giorni. I panni erano sempre neri, quanti corredi ci hanno rimesso le donne di Bagnoli. Dint’ a stu palazzo tenimmo tutte ’e rini a piezze, stevomo sempe a puluzza’ . A quei tempi non lo sapevamo che quella polvere nera faceva male. Gli uomini spesso tossivano, c’erano casi di silicosi, ma noi non ci lamentavamo mai. E pure quando ce lo dicevano che faceva male, che dovevamo fare? quello per noi era pane, l’unico pane sicuro. La fabbrica per noi era tutto. Quando l’hanno chiusa è stato un lutto che non si può raccontare, in tutte le famiglie si stava male, si viveva quel momento piangendo. Tanti uomini sono entrati in depressione. A 50 anni sei ancora giovane, non te ne puoi stare con le mani in mano. Mio marito se l’è cavata solo perché aveva il partito. Per il marito di mia sorella invece è stato un brutto colpo, lui aveva solo il lavoro. È stata una grande sconfitta per tutti: avevamo lottato per non far chiudere la fabbrica, anche noi donne scendevamo in piazza. Scioperi, assemblee, picchetti di notte. Con un gruppo di donne andavamo casa per casa a fare volantinaggio. Molte di noi sono andate pure a Bruxelles; io no, perché avevo 3 figli, e non li potevo lasciare soli. Quelli sono stati momenti difficili ma anche bellissimi, stavamo tutti insieme, ci aiutavamo l’un l’altro.
Uno dei ricordi più belli della fabbrica per me è stato l’8 marzo in fabbrica, gli operai ci facettero trova’ ’e mimos’, gli uomini fecero pure una gara di cucina, alla fine vinse mio marito con un meraviglioso risotto ai funghi. Tengo ancora le foto con Franco vestito da cuoco. Erano venuti a suonà da Pomigliano e’ Zezi. Poi ci fu il discorso del sindaco, il primo sindaco comunista. Valenzi iniziò il discorso come faceva Berlinguer: “Care compagne…”. Era una cosa quel care compagne che ti faceva emozionare tutta. Ti faceva venire la pelle d’oca, perché in effetti la donna a quel tempo non era considerata assai.
Oggi il discorso sulla società industriale non gode di buona salute. Nessuno ne parla più, eppure è passato così poco. Il mondo delle grandi industrie va spegnendosi sotto i colpi di un sistema lavorativo, sociale, culturale, flessibile, atemporale e aspaziale, che ha scardinato il precedente mondo del lavoro e le sue griglie interpretative e di collocazione. Anche gli studi sulla fabbrica conoscono sempre meno fortuna:
l’industria, le sue donne e i suoi uomini sono stati abbandonati, dimessi, vinti dai cambiamenti del mercato e delle ideologie. La loro voce si è fatta sempre più labile di fronte alla fine di quel sistema economico e di valori, ma basta tendere l’orecchio che è possibile sentire ancora le sirene degli stabilimenti, la fatica del lavoro, i canti delle grandi manifestazioni così come vengono ricordati da quel mondo di vinti, che è il mondo della fabbrica.

Maria Scherillo


racconto tratto da
"Donne di ferro. Racconti dell’Ilva Italsider"
di Renata Pepicelli
Edizioni Mesogea