mercoledì 28 aprile 2010

con 24mila baci

vivono, ma dovrebbero esser

martedì 27 aprile 2010

la ragione di un sogno

Caro ragazzo, sì, certo, incontriamoci,
ma non aspettarti nulla da questo incontro.
Se mai, una nuova delusione, un nuovo
vuoto: di quelli che fanno bene
alla dignità narcissica, come un dolore.
A quarant'anni io sono come a diciassette.
Frustrati, il quarantenne e il diciassettenne
si possono, certo, incontrare, balbettando
idee convergenti, su problemi
tra cui si aprono due decenni, un'intera vita,
e che pure apparentemente sono gli stessi.
Finché una parola, uscita dalle gole incerte,
inaridita di pianto e voglia d'esser soli —
ne rivela l'immedicabile disparità.
E, insieme, dovrò pure fare il poeta
padre, e allora ripiegherò sull'ironia
— che t'imbarazzerà: essendo il quarantenne
più allegro e giovane del diciassettenne,
lui, ormai padrone della vita.
Oltre a questa apparenza, a questa parvenza,
non ho niente altro da dirti.
Sono avaro, quel poco che possiedo
me lo tengo stretto al cuore diabolico.
E i due palmi di pelle tra zigomo e mento,
sotto la bocca distorta a furia di sorrisi
di timidezza, e l'occhio che ha perso
il suo dolce, come un fico inacidito,
ti apparirebbero il ritratto
proprio di quella maturità che ti fa male,
maturità non fraterna. A che può servirti
un coetaneo — semplicemente intristito
nella magrezza che gli divora la carne?
Ciò ch'egli ha dato ha dato, il resto
è arida pietà.

mercoledì 21 aprile 2010

malandrini

Roma, primi anni Settanta: un uomo solo dentro una piazza deserta. E intorno un ronzio di voci, un crepiti' o di slogan... Quell' uomo, con lo sguardo celato dietro un paio d' occhiali scuri, e' Pier Paolo Pasolini: ha le spalle poggiate contro un muro e le braccia annodate sul petto. Se ne sta li' , in silenzio, mentre il ronzio diventa tuono e il fiume di ragazzi comincia a tracimare nella piazza, fino a sommergerla. Ci sono immagini che il tempo non consuma. Erri De Luca, Pasolini lo rammenta cosi' . "Lo incontrai quella volta e mai piu' . Era una manifestazione organizzata da Lotta Continua ed io stavo nelle prime file del corteo, quelle che servivano a scoraggiare le confidenze del nemico . racconta .. Nella piazza destinata al comizio finale non si scorgeva anima viva: c' era soltanto quell' uomo fermo in un angolo. All' epoca, non eravamo teneri col vicinato: avremmo scacciato con la forza chiunque altro, ma non Pasolini. Ci colpiva il suo coraggio fisico: venire ad osservarci e a giudicarci li' dove nessun altro estraneo avrebbe mai messo piede... E poi chissa' , forse gia' allora ci inseguiva, come un' ombra, il dubbio che avesse ragione su di noi". "Pasolini strinse con Napoli un legame fisico violento, quasi marchettaro. E non poteva essere altrimenti per uno che conosceva il prezzo dei corpi in ogni angolo del mondo. Per lui anche l' imbroglio era "scambio di sapere", al punto che perfino un tentativo di borseggio, subi' to durante un' effusione, si trasformava in occasione per rinsaldare un affetto. Qui non sarebbe mai stato ucciso in una strada abbandonata: poteva accadere soltanto a Roma. Quel che non immaginava, pero' , e' che anche questa citta' , dopo il terremoto, l' avrebbe tradito. La morte gli ha risparmiato almeno una delusione". . E' in "Gennariello" che Pasolini descrive Napoli come "l' ultima metropoli plebea, l' ultimo grande villaggio". Si tratta dell' ennesimo stereotipo modellato sull' idea di una citta' immune dal contagio della storia? "Napoli sfugge ai predicati assoluti, alle definizioni che mirano ad ingabbiarla. Chi prova a colpire il centro, manca il bersaglio. E' capitato anche a Pasolini. Lui, pero' , aveva una botola segreta che, in genere, gli intellettuali non posseggono: conosceva il corpo. E questa, forse, rimane l' unica citta' dove la fisiognomica sopravvive all' erosione dei lineamenti. Qui le persone hanno ancora una faccia. Ecco, credo che Pasolini amasse soprattutto quest' aspetto di Napoli: basterebbe ricordare la lunga galleria di volti che scandisce il "Decameron", la maschera di Toto' in "Uccellacci e Uccellini". . Anche di "Gennariello", lo scrittore disegna in primo luogo i tratti del viso, la sagoma del corpo "stretto di fianchi e solido di gamba". Il ritratto, insomma, di uno scugnizzo da oleografia. "Certo, ma tutto il rapporto fra Pasolini e Gennariello sa di falso. Se ti metti dalla parte del quindicenne, non capisci una parola di quel che ti viene detto. Quel personaggio e' un pretesto, al punto che perfino il suo nome e' sbagliato: il diminutivo di Gennaro, in dialetto, e' Gennarino o Gennariniello. Lui invece se ne inventa un altro e modella il suo interlocutore plasmando la creta di un desiderio personale. Queste pagine segnano il culmine di una tensione che mira a correggere il mondo, ma rappresentano pure il fallimento di tale ambizione". . Di luterano, allora, c' e' poco in queste lettere? "Direi quasi nulla. Non c' e' la rifondazione di un nuovo cristianesimo e di una nuova lingua. E poi Lutero costruiva con i mattoni che aveva, mica se li inventava. Ci sono brani, pero' , che ancora oggi ti prendono alla gola. Come quello che parla dei "destinati a essere morti", vite salvate dal progresso della medicina. Pasolini constata che le nascite non sono piu' una benedizione in un mondo dominato dalla crescita demografica. Il suo e' un atto di accusa contro una quota della gioventu' che alla sua eccedenza numerica fa corrispondere un comportamento conformista. E' un' invettiva totale, biologicamente fondata. E sara' poi uno di quei "destinati ad essere morti" che gliela fara' pagare. Anch' io ho fatto parte di questa quota eccedente e adesso che sono vecchio mi rigiro fra i denti quelle parole senza sapere se avesse torto o ragione". . Riaffiora l' ombra del dubbio? "La verita' e' che si tratta di un autore troppo vario per le mie forze: merita piu' cuore e intelligenza di quanto io gli possa prestare. Mi e' caro soprattutto come poeta, perche' sentiva l' obbligo di governare in modo piu' sereno le sue risorse. C' e' una poesia, "Gerarchia", che amo molto. Venne pubblicata nel ' 70 su "Nuovi Argomenti", in un numero dove comparivano anche i miei primi scritti. Un verso dice: "Accuso i vecchi di avere fatto la volonta' della vita". Pasolini non voleva che Gennariello finisse come quei vecchi. Ma Gennariello non esisteva, non esiste. Ed e' per questo che quell' accusa si vena della pieta' carnale di una madre". . Sono trascorsi vent' anni da quell' incontro in una piazza deserta: chi aveva ragione? "Non lo so. Noi abbiamo dimostrato di essere peggio di quel che sembrava a Pasolini. Ma eravamo pure l' unica possibilita' e lui non voleva concedercelo. Oggi sento la sua mancanza, come tutti quelli che hanno imparato qualcosa prendendosela con lui o prendendosela da lui. Ma avverto soprattutto la sua presenza e l' onore che ci ha fatto ad essere nostro contemporaneo. Uno come lui non c' era prima e non c' e' stato dopo. Avremmo dovuto fare qualcosa in piu' per meritarci la sua vita".

martedì 20 aprile 2010

lofiore

comizi d'amore

sabato 10 aprile 2010

rossiccio

A volte di tutto questo rimane solo una macchia di parole le tasche e le mani.
Una penna col cappuccio mordicchiato di pensieri, una penna che si dilania a scrivere sul precipizio adorato dell'infinito delle piccole cose.
Stasera questa penna confusionaria che senza religione s'aggira falsa nei misteri metropolitani
dello squallido della mia mente mi racconta la mia fanghiglia d'inchiostro ed arrangiata poesia.
Parlo del mondo intero, per questo non ho più un senso. A volte ti sussurro del cielo intero, tornando a notte, e nei miei sogni ti scrivo sulla pelle tutto il bene di cui sono capace.

#0

Strinsi le mani sotto il velo oscuro...
"Perché oggi sei pallida?"
Perché d'agra tristezza
l'ho abbeverato fino ad ubriacarlo.
Come dimenticare? Uscì vacillando,
sulla bocca una smorfia di dolore...
Corsi senza sfiorare la ringhiera,
corsi dietro di lui fino al portone.
Soffocando, gridai: "E' stato tutto
uno scherzo. Muoio se te ne vai".
Lui sorrise calmo, crudele
e mi disse: "Non startene al vento".

[a.achmatova]

banditismi

Era pericoloso
lasciarle mani franche
senza ferri avvitati intorno ai polsi
quando rivide spazio,alberi,strade,
al cimitero dove
portavano suo padre.
Dieci anni già scontati,
ma contarli non serve,
l’ergastolo non scade ,
più vivi più ci resti.

Era pericoloso
permetterle gli abbracci,
e da regolamento
è escluso ogni contatto.
Era pericoloso
il lutto dei parenti,
di fronte al padre morto
potevano tentare
chissà di liberare
la figlia irrigidita,
solo per pareggiare
la morte con la vita.

Spettacolo mancato
la guerriera in singhiozzi,
ma chi è legato ai polsi
non può sciogliere gli occhi.
Per affacciarsi,lacrime e sorrisi,
debbono avere un pò di intimità
perchè sono selvatici,non sanno
nascere in cattività.

Ora la puoi incontrare
la sera quando torna
a via Bartolo Longo,
prigione di Rebibbia
domicilio dei vinti
di una guerra finita,
residenza perpetua
degli sconfitti a vita.
Attravesa la strada,non si gira,
compagna Luna,antica prigioniera
che s’arrende alle sbarre della sera.


[Erri De Luca, Ballata per una prigioniera]

martedì 6 aprile 2010

escape with Harey

domenica 4 aprile 2010

Vento in faccia

Le prime volte sperimenti il vento che fanno i corpi in
corsa. Vedi la fuga che ti arriva contro, i tuoi scappano, tu ti
tieni su un bordo per non averli addosso. Corrono zitti, nien-
te gridi, il fiato serve tutto per le gambe. Guardi la loro corsa.
È vento in faccia, corpi di ragazzi e ragazze schizzano via, nes-
suno bada a te. Poi qualcuno dirà sì, l'ho visto, era fermo sul-
l'angolo, appoggiato al muro.

Dietro arrivano le truppe in divisa. Tu aspetti la poca ter-
ra di nessuno tra i fuggiti e quelli che rincorrono, ti stacchi
dal margine, dal muro, tiri quello che hai in mano, tiri basso
per far inciampare, poi tocca a te schizzare. Hai avuto
tempo di guardare dove ti conviene, dove hai vantaggio,
meglio se in salita. Chi insegue ha già l'affanno e si scorag-
gia a correre contro una pendenza. Anche se vuole tirarti
dietro qualche colpo, è più scomodo un bersaglio che sta
più in alto.

Hai poco vantaggio, qualche metro, ma con la sortita hai
scombinato, per qualche secondo, il loro galoppo, li hai sor-
presi. Vedono te soltanto, ma gli frulla il dubbio che ce ne
sono altri, per un altro secondo guardano intorno. E un vec-
chio vizio del timore, quello di non fidarsi dei propri sensi
in punto di concitazione. Ne profitti e guadagni metri.
Hanno capito infine che sei solo una scheggia, quella che
sbatte contro le gambe larghe di chi abbatte un albero con
l'ascia. Dietro di te scoppia la loro collera e li trascina alla
rincorsa, senti che qualcuno strilla d'acchiapparti, pensi:
meglio ancora, sprecano a gridi la riserva d'aria, in venti,
trenta metri avranno il fiato spento, si dovranno piantare in
piena corsa a rifiatare. Intanto hai scomposto il loro inse-
guimento, i tuoi sono al riparo e tu puoi rallentare, tentare
di raggiungerli nel posto successivo, già concordato in caso
di fuga. Tu: chi sei?

Sei uno che un giorno dentro una carica delle truppe sei
rimasto fermo. T'è venuto sgomento per la corsa sganghe-
rata di quelli intorno, che se uno cadeva gli altri magari gli
passavano sopra con il panico. Ti dava pena la corsa goffa di
molte ragazze che allora non andavano in palestre e per i
parchi a fare allenamenti. Quand'è toccato a te d'essere gio-
vane, e giovane di strada, lo sport era stato l'ora di educa-
zione fisica in un camerone di scuola. I ragazzi sapevano
correre perché giocavano a palla nella Villa Comunale,
interrotti dai vigili urbani. Le ragazze non sapevano corre-
re. Imparavano allora, nelle manifestazioni attaccate, affumicate, inseguite.

[erri de luca]

sabato 3 aprile 2010

grayskull

non saper dire addio porta alla perdita di parti molto importanti del corpo, come le braccia o le orecchie. vorrei essere lontano a volte, come se esistessero luoghi in cui alla mente non arrivano timori di conoscere troppo e di non sapere nulla.