sabato 31 luglio 2010

corsaro75

Concludo amaramente. Le maschere ripugnanti che i giovani si mettono sulla faccia, rendendosi laidi come le vecchie puttane di una ingiusta iconografia, ricreano oggettivamente sulle loro fisionomie ciò che essi solo verbalmente hanno condannato per sempre. Sono saltate fuori le vecchie facce da preti, da giudici, da ufficiali, da anarchici fasulli, da impiegati buffoni, da Azzeccagarbugli, da Don Ferrante, da mercenari, da imbroglioni, da benpensanti teppisti. Cioè la condanna radicale e indiscriminata che essi hanno pronunciato contro i loro padri - che sono la storia in evoluzione e la cultura precedente - alzando contro di essi una barriera insormontabile, ha finito con l'isolarli, impedendo loro, coi loro padri, un rapporto dialettico. Ora, solo attraverso tale rapporto dialettico - sia pur drammatico ed estremizzato - essi avrebbero potuto avere reale coscienza storica di sé, e andare avanti, «superare» i padri. Invece l'isolamento in cui si sono chiusi - come in un mondo a parte, in un ghetto riservato alla gioventù - li ha tenuti fermi alla loro insopprimibile realtà storica: e ciò ha implicato - fatalmente - un regresso. Essi sono in realtà andati più indietro dei loro padri, risuscitando nella loro anima terrori e conformismi, e, nel loro aspetto fisico, convenzionalità e miserie che parevano superate per sempre.

Ora così i capelli lunghi dicono, nel loro inarticolato e ossesso linguaggio di segni non verbali, nella loro teppistica iconicità, le «cose» della televisione o delle réclames dei prodotti, dove è ormai assolutamente inconcepibile prevedere un giovane che non abbia i capelli lunghi: fatto che, oggi, sarebbe scandaloso per il potere.

Provo un immenso e sincero dispiacere nel dirlo (anzi, una vera e propria disperazione): ma ormai migliaia e centinaia di migliaia di facce di giovani italiani, assomigliano sempre più alla faccia di Merlino. La loro libertà di portare i capelli come vogliono, non è più difendibile, perché non è più libertà. È giunto il momento, piuttosto, di dire ai giovani che il loro modo di acconciarsi è orribile, perché servile e volgare. Anzi, è giunto il momento che essi stessi se ne accorgano, e si liberino da questa loro ansia colpevole di attenersi all'ordine degradante dell'orda.

ppp

sabato 24 luglio 2010

il disordine perfetto



Nel giovedì santo del 1770 a Roma il quattordicenne Mozart dà una straordinaria prova del suo genio: ascolta nella Cappella Sistina il Miserere di Gregorio Allegri e riesce nell'impresa di trascriverlo interamente a memoria dopo solo due ascolti. Si tratta di una composizione a nove voci, apprezzata a tal punto da essere proprietà esclusiva della Cappella pontificia, tanto da poter essere eseguito solo nella Cappella sistina durante la settimana santa e ritenuta così imporante da intimare la scomunica a chi se ne fosse impossessato al di fuori delle mura vaticane. L'impresa ha i caratteri dello sbalorditivo, se si pensa all'età del giovanissimo compositore e alla incredibile capacità mnemonica nel ricordare un brano che riassume nel proprio finale ben nove parti vocali.
Dopo tale impresa i salisburghesi si recarono a Napoli, dove soggiornarono per sei settimane e dove la proverbiale scaramanzia partenopea additava all'anello che portava il compositore al dito la genesi delle sue incredibili capacità musicali, tanto da costringerlo a toglierselo.

venerdì 23 luglio 2010

- natale 1993 -

ruppemi l'alto sonno nella testa
un lieve suono sentì e mi riscossi
lasciando il torpore del caldo letto
l'occhio riposato intorno mossi
dritto levato e fisso mi guardai per capir la cagion del mio risveglio
vero è che in sulla branda mi trovai
della stanza dal sole illuminata
dormito tanto avea dovuto
che la mente un po mi dolea
come se io fossi nato in quel momento
poi che alzato mi fui e ripensai un poco a dove stavo
e che un altro anno era passato
la mia mente viaggiava per i giorni che vissuti avea con tutti voi
agli errori fatti
alle prese decisioni
ai dispiaceri e gioie co passato in 16 anni
che è quanto ho vissuto
aperta poi che ebbi la porta della mia stanza
vi ritrovai nella casa sparsi
già tutti svegli ed operosi
dai muri della casa uscì un calore
e le vostre parole potei udire
fermo in su la porta io restai
a respirar quell'aria in festa
che sapea di pace e di dolcezza

auguri
carlo

giovedì 22 luglio 2010

come se fossi nato in quel momento

‎...e invero, piccoli cresciuti o grandi, giovani anziani o vecchi, al buio si è tutti uguali.
buona notte biondino (elsa morante)

lunedì 19 luglio 2010

le donne odiavano il jazz...ma non si capiva il motivo

domenica 18 luglio 2010

Le torri del vento

In verità, sono pochi coloro che sanno dell'esistenza di un piccolo cervello in ciascuna delle dita della mano, in qualche punto tra falange, falangina e falangetta. Quell'altro organo che chiamiamo cervello, quello con cui veniamo al mondo, quello che trasportiamo nel cranio e che trasporta noi affinché noi trasportiamo lui, non è mai riuscito a produrre altro che intenzioni vaghe, generiche, diffuse, e soprattutto poco variate, riguardo a ciò che le mani e le dita dovranno fare. Se, per esempio, al cervello della testa è venuta l'idea di una pittura, o di una musica, o una scultura, o un brano letterario, o una statuina di terracotta, lui non fa altro che manifestare il desiderio e rimanere poi in attesa, a vedere cosa succede. Solo perché ha trasmesso un ordine alle mani e alle dita, crede, o finge di credere, che questo era tutto ciò di cui c'era bisogno perché il lavoro, dopo un certo numero di operazioni eseguite dalle estremità delle braccia, si presentasse fatto. Non ha mai avuto la curiosità di domandarsi per quale ragione il risultato finale di codesta manipolazione, sempre complessa persino nelle sue espressioni più semplici, assomigli tanto poco a quello che aveva immaginato prima di dare istruzioni alle mani. Si noti che, quando nasciamo, le dita non hanno ancora un cervello, che ci si va formando a poco a poco con il passare del tempo e l'aiuto di ciò che vedono gli occhi. L'aiuto degli occhi è importante, tanto quanto l'aiuto di ciò che da essi viene visto. Ecco perché quanto di meglio le dita hanno sempre saputo fare è stato proprio rivelare l'occulto. Quello che nel cervello potrebbe essere percepito come scienza infusa, magica o soprannaturale, qualsiasi cosa significhino soprannaturale, magico e infuso, sono state le dita e i loro piccoli cervelli a insegnarglielo. Perché il cervello della testa sapesse cos'era la pietra, prima c'è stato bisogno che le dita la toccassero, ne sentissero l'asperità, il peso e la densità, c'è stato bisogno che vi si ferissero. Solo molto tempo dopo il cervello ha capito che da quel pezzo di roccia si sarebbe potuta fare una cosa che avrebbe chiamato coltello e una cosa che avrebbe chiamato idolo. Il cervello della testa è sempre stato in ritardo per tutta la vita rispetto alle mani, e anche ai nostri giorni, quando ci sembra che le abbia oltrepassate, sono ancora le dita che devono spiegargli le investigazioni del tatto, il fremito dell'epidermide quando sfiora la creta, l'acuta lacerazione dello scalpello, la morsa dell'acido sulla piastra, la vibrazione sottile di un foglio di carta disteso, l'orografia delle tessiture, la trama delle fibre, l'abbecedario in rilievo del mondo. E i colori. Per dovere di verità bisogna dire che, di colori, il cervello se ne intende assai meno di quanto creda. Certo è che riesce a vedere più o meno chiaramente ciò che gli occhi gli mostrano, ma per lo più soffre di quelli che potremmo definire problemi di orientamento ogni volta che arriva il momento di convertire in conoscenza quanto ha visto. Grazie all'inconsapevole sicurezza di cui la durata della vita ha finito per dotarlo, pronuncia senza esitare i nomi dei colori che chiama elementari e complementari, ma immediatamente si perde, perplesso, dubbioso, quando tenta di formare delle parole che possano servire da etichette o distici esplicativi di qualcosa che tocca l'ineffabile, di qualcosa che sfiora l'indicibile, quel colore non ancora del tutto nato che, con l'assenso, la complicità e non di rado la sorpresa degli stessi occhi, le mani e le dita vanno creando e che probabilmente non arriverà mai a ricevere il suo giusto nome. O forse già lo possiede, ma soltanto le mani lo conoscono, perché hanno composto la tinta come se stessero scomponendo le parti costitutive di una nota musicale, perché si sono sporcate nel suo colore e hanno serbato la macchia nel più profondo del derma, perché solo con quel sapere invisibile delle dita si potrà mai dipingere l'infinita tela dei sogni. Fidandosi di ciò che gli occhi hanno ritenuto di aver visto, il cervello della testa afferma che, secondo la luce e le ombre, il vento e la calma, l'umidità e la secchezza, la spiaggia è bianca, o gialla, o dorata, o grigia, o purpurea, o una cosa qualsiasi tra questo e quello, ma poi vengono le dita e, con un movimento di raccolta, come se stessero mietendo una messe, rialzano dal suolo tutti i colori che ci sono al mondo. Ciò che sembrava unico era plurale, ciò che è plurale lo sarà ancora di più. Non è men vero, tuttavia, che nell'esaltata folgorazione di un solo tono, o nella sua musicale modulazione, sono presenti e vivi tutti gli altri, tanto le tonalità dei colori che hanno già un nome quanto quelle di quei colori che ancora lo attendono, proprio come una distesa in apparenza liscia potrà coprire, nel mentre che le manifesta, le tracce di tutto il vissuto e accaduto nella storia del mondo. Tutta l'archeologia di materiali è un'archeologia umana. Ciò che questa creta nasconde e mostra è il transito dell'essere nel tempo e il suo passaggio negli spazi, i segni delle dita, i graffi delle unghie, le ceneri e i tizzoni dei fuochi spenti, le ossa proprie e altrui, i cammini che eternamente si biforcano e si vanno distanziando e perdendosi l'un l'altro. Questo granello che affiora alla superficie è una memoria, questa depressione il marchio che è rimasto di un corpo sdraiato. Il cervello ha domandato e chiesto, la mano ha risposto e fatto.

jose saramago

mercoledì 14 luglio 2010

martedì 6 luglio 2010

don't let me be misunderstood

Baby mi capisci adesso?
A volte mi sento una piccola pazza
beh non sai che nessun vivente
può essere sempre un angelo?

Quando le cose vanno male
sembro essere cattivissima
sono solo un'anima
le quali intenzioni le ha
buone,
oh Signore, per favore
non fare in modo che io sia fraintesa.

Baby a volte sono così spensierata
con una gioia che è difficile da
nascondere
e sembra che tutto quello
che ho sono preoccupazioni
e dopo tu
sei obbligato a vedere l'altra parte di me
se sembro essere nervosa,
voglio che
tu sappia che io non avrei mai intenzione
di prendermela con te,
la vita ha i suoi
problemi e li devo dividere con gli altri
e questa è una cosa che non vorrei
mai fare
perchè ti amo.

i'm your man

Se vuoi un amante
Farò ogni cosa che mi chiederai
E se vuoi un altro tipo d'amore
Vestirò una maschera per te
Se vuoi un partner
Prendimi la mano
O sei vuoi abbattermi mentre sei in collera
Sono quì
Sono il tuo uomo

Se vuoi un pugile
Salirò sul ring per te
Se vuoi un dottore
Ti esaminerò ogni centimentro
Se vuoi un pilota
Salta dentro
O se vuoi usarmi per un giro
Sai che puoi
Sono quì

Ah, la luna è troppo brillante
La catena troppo stretta
La bestia non andrà a dormire
Stavo scorrendo le promesse che ti ho fatto
E che non posso mantenere
Ah ma un uomo non avrà mai una donna indietro
Non di certo mendicando sulle ginocchia
Oh striscierei fino a te ragazza
E cadrei ai tuoi piedi
E ululerei alla tua bellezza
Come un cane in calore
E graffierei il tuo cuore
E strapperei la tua coperta
Direi per favore, per favore
Sono il tuo uomo

E se dovrai dormire
Un momento sulla strada
Io guidero' per te
E se vorrai lavorare sulla strada da sola
Scomparirò per te
Se vuoi un padre per il tuo bambino
O solo camminare con me qualche istante
Sopra la sabbia
Sono il tuo uomo

Se vuoi un amante
Farò ogni cosa mi chiederai
E se vuoi un altro tipo d'amore
Vestirò una maschera per te
nuotare sott'acqua e trattenere il fiato

lunedì 5 luglio 2010

il mestiere di scrivere

In sei mesi
Non ho letto un libro
a parte una cosa intitolata La ritirata da Mosca
di Caulaincourt.
Comunque sono contento.
Vado in macchina con mio fratello,
beviamo una pinta di Old Crow.
Non abbiamo in mente nessuna meta,
andiamo e basta.
Chiudessi gli occhi per un minuto
Ecco, sarei perduto, ma
potrei stendermi e dormire per sempre
sul ciglio della strada.
Mio fratello mi dà di gomito.
Tra un minuto , chissà, accadrà qualcosa

r.carver 1989

domenica 4 luglio 2010